Le riflessioni con le quali Santorre di Santarosa conclude la sua storia sono una testimonianza delle motivazioni e degli ideali che lo spinsero all'azione rivoluzionaria, ma anche un grido di speranza e di fiducia in una possibile rivoluzione italiana nonostante l'insuccesso del 1821:

"Sono finalmente al termine di mia penosa fatica; mi rimane la fiducia di averla fedelmente compiuta, di nulla aver trascurato perché riuscisse eziandio vantaggiosa. Bisognava provare che i Piemontesi erano stati trascinati alla rivoluzione dagli eccessi di un governo sommamente arbitrario, dalla mancanza di leggi che tutelassero le proprietà, le persone dei cittadini; bisognava provare che di nostra impresa non era unico scopo l'emancipazione italiana, ma ben anco l'ingrandimento, la potenza della casa di Savoia; talchè i nostri disegni abbracciavano le affezioni più dolci ed i doveri più sacri ad un tempo; bisognava provare che se il nostro tentativo era audace non lasciava però di presentare grandi mezzi di successo; bisognava far sentire come, per l'inazione del principe di Carignano durante sua reggenza, ne venisse tolto riutilizzare le risorse di nostra posizione, come per l'indegna sua fuga fossero prosternate le migliori speranze della nazione in lui riposte, bisognava far apprezzare come la causa di libertà nelle mani del governo costituzionale cui giustizia e moderazione avevano acquistato la stima e l'affetto dei popoli benchè da tante e differenti sventure colpita, resistesse ai suoi nemici, e come ad abbatterla abbisognassero costoro della mano dell'Austria; bisognava infine mostrare come quel cumulo di malaugurate circostanze che stremò di forze lo sfortunato Piemonte, rendesse inutile, impossibile ogni riparo al disastro di Novara ... Vo' chiamar gli Italiani a meditare le condizioni del nostro paese, gli errori, le conseguenze della fallita rivoluzione, di quella rivoluzione che dopo secoli fu la prima che si tentasse in Italia senza l'intervento, l'aiuto dello straniero, fu la prima in cui due popoli si rispondessero dall'uno all'altro canto della Penisola. L'intero assoggettamento d'Italia all'Austria ne fu il risultato pur troppo; ma badino, l'Italia è conquistata non sottomessa. E d'altronde qual era egli mai lo stato suo anteriore al 1820? Non era ella di già fatto serva dell'imperatore, cui le due corti di Napoli e Torino avean dato lor fede di non accordare ai popoli benefiche, liberali instituzioni? Le ultime nostre peripezie non resero adunque che più semplice la nostra condizione, più diretta la servitù, misero in luce nostre catene. O italiani! Si sorreggano con dignità queste catene, non si squassino inopportunatamente, resti libero il cuore ... La spinta è data, la liberazione d'Italia fia l'avvenimento del secolo decimonono.. Scrivano pure a talento liste di proscrizione, vadano pure a gara i principi italiani in curvare la fronte ai cenni dell'Austria, posciachè va loro più a grado regnare con la costei forza, che non colle leggi. L'Austria non si oppone, e si prepara intanto a raccorre il frutto di loro acciecamento; ma dessa pure s'inganna: l'ardore degl'italiani per l'indipendenza nazionale aumenta in essi a misura dei sacrifizii che costa. La forza dell'Austria non può che ritardare il momento, ma ne fia più terribile lo scoppio..." Dal giorno in cui promulgherassi uno Statuto, dal giorno in cui si ergerà una tribuna, dal giorno in cui nello Stato non vi sarà più alcuno al dissopra della legge, svaniranno per la società i pericoli nascosti: dessa riprenderà il suo incesso securo, solenne! Ma là ove regna la forza brutale non v'ha calma che di apparenza, e le passioni degli uomini bollenti diventano esca a fuochi sotterranei; quelle stesse passioni che in una società da sane leggi regolata darebbero ottimo frutto, sotto uno scettro di ferro o di piombo s'inaspriscono, si corrompono, si fanno terribili.
Forse sarebbe ancora in tempo il riparo, ma temo che gli uomini invaghiti del despotismo non ritengano ormai che troppo securo il lor trionfo. La facile vittoria riportata su Napoli e sul Piemonte li illude, li affascina, credono essersi trovati a fronte dell'Italia, e d'averla schiacciata. Stolti! Mai non vi furono, le cose da me narrate lo dimostrano: ed io lo doveva perché niuno de' miei connazionali avesse dagli avvenimenti del 1820 e 1821 a congetturare l'impotenza di una rivoluzione italiana."

(da :
STORIA DELLA RIVOLUZIONE PIEMONTESE DEL 1821 DEL CONTE SANTORRE DI SANTAROSA
Versione eseguita sulla 3^ edizione francese
Torino presso tutti i librai - 1850)