LA QUESTIONE ROMANA

I rapporti tra Stato e Chiesa erano molto tesi da quando l'Emilia, le Marche e l'Umbria, cioè tutti i domini pontifici, tranne il Lazio con Roma, erano passati ai Savoia: sui Savoia infatti pesava la scomunica del papa.
Cavour, subito dopo l'unificazione, affrontò questo problema: in seguito ad un dibattito parlamentare da lui sollecitato, Roma fu solennemente proclamata capitale d'Italia. Seguirono trattative con Napoleone III e Pio IX, per indurli a rinunciare al potere temporale dei Papi. Il Cavour era convinto assertore della tesi "libera chiesa in libero stato", secondo la quale la Chiesa, in relazione alle esigenze dei tempi, avrebbe dovuto abbandonare il dominio temporale per ottenere dallo stato italiano come compenso la rinuncia ai numerosi controlli esistenti sul clero e un'assoluta libertà nel campo spirituale. Ma Napoleone III non ritirò da Roma le truppe che vi teneva a difesa del Pontefice e Pio IX oppose ad una missione diplomatica segreta inviatagli dal Cavour, un secco "non possumus".
Quando Cavour morì, il 6 Giugno 1861,questo difficile problema non era ancora stato risolto.
Sulla questione romana, si ebbero, quindi, posizioni divergenti fra gli uomini politici del tempo: i moderati tendevano a risolverla seguendo i principi di Cavour, mentre gli uomini del partito d'azione sostenevano la necessità di agire in modo rivoluzionario secondo i sistemi mazziniani.
A questo proposito, occorre ricordare le azioni di Garibaldi tese a liberare Roma con i suoi volontari: il primo tentativo nel 1862 stroncato dalle truppe regie sull'Aspromonte, il secondo tentativo nel 1867 e gli scontri di Monterotondo e Mentana contro le truppe pontificie e francesi.